Ancona
Stab.Tipografico
dell’ ORDINE
1919
I.
All'attiva propaganda antitaliana che gli jugoslavi
e i loro numerosi amici fanno specialmente all'estero al palese scopo
d'influire sull'opinione pubblica di tutto il mondo così da renderla
sfavorevole o addirittura contraria a una soluzione della questione adriatica
conforme al diritto e alle legittime aspirazioni dell'Italia, giova opporre
tutti gli argomenti, i dati di fatto, le risultanze storielle e le
considerazioni morali che dimostrano e provano l'infondatezza, la parzialità,
gli errori, le lacune della propaganda jugoslava.
Compito di non difficile esecuzione questo,
ma molto ampio, intorno al quale la stampa patriottica d'Italia s'affatica da
qualche tempo con successo visibile ad ogni onesto, senza tuttavia, esaurirlo
completamente. Il diritto storico dell'Italia sulla Dalmazia è stato
vittoriosamente affermato di fronte alle contestazioni jugoslave;
l'appartenenza geografica della Dalmazia all'Italia è fuori di discussione per
chiunque non voglia far della scienza il docile strumento d'una specifica tesi
politica; la prevalenza in Dalmazià della coltura e civiltà italiana è resa
manifesta dagli usi e costumi della sua popolazione più evoluta,
dall'architettura dei suoi monumenti, dalla
struttura delle sue città, dal suo contributo
alla letteratura e all'arte italiana; la
necessità strategica del dominio italiano sulla Dalmazia è evidente anche ai
profani dell'arte militare e trova conferme anche tragiche,
nella storia.
Contro questi elementi della controversia
i propagandisti iugoslavi non oppongono serie obbiezioni. Negano per esempio
valore alla necessità strategica dicendo che
Ma la nazionalità d'un popolo come quella
dell'individuo, non è determinata dalla lingua ch’ei parla, bensì dalla sua
volontà. Se valesse l'opposto, i più intelligenti uomini di parte croata
(jugoslava) in Dalmazia.. sarebbero italiani, e italiani sarebbero stati
quegli uomini che primi iniziarono il movimento politico-nazionale croato in
Dalmazia.
Vi sono in Dalmazia famiglie, i cui membri
appartengono a varie nazionalità; pur avendo una comune lingua materna, perchè
figli della stessa madre, vi sono in Dalmazià fratelli, dei quali uno si dice
croato, l'altro italiano, il terzo serbo. Dunque l'elemento volitivo
individuate è il determinante anche nei riguardi nazionali.
In Dalmazia, però, si conta più del 60 per
cento d'analfabeti, i quali non hanno una volontà nazionale; e vi è un numero
assai grande di abitanti bilingui, i quali appariscono nelle statistiche slavi,
sia perché gli organi del censimento l'hanno elencati arbitrariamente fra gli
slavi, sia perché essi hanno subito una coercizione limitante la loro
libera volontà. Affinchè questa coercizione esista, non occorre dimostrare
che è intervenuto un atto di violenza per ogni singolo individuo in questo
determinato caso; basta, invece, dimostrare l'esistenza d'un regime che limiti
o annulli con la violenza o con la corruzione, la volontà popolare. Qual valore
va attribuito alle statistiche d'una minoranza che si è imposta al paese con
la violenza e con la violenza si mantiene al potere?
Se una minoranza
decreta illegalmente la soppressione di tutte le scuole italiane
d'un paese e apre al loro posto scuole esclusivamente slave, e d'altra parte
stabilisce l'obbligo della frequentazione, essa crea in alcuni anni una verità
nazionale; ma questa verità è artificiale, è
in sostanza una falsificazione, cioè un atto di
delinquenza politica. Statistiche di questo genere, anche
se oggettivamente esatte, mal servono come fondamento al
diritto e al dominio.
L'apparente snazionalizzazione della Dalmazia è
stata conseguenza di una lunga serie di violenze che con frase
sintetica si chiamano «il martirio della Dalmazia». La storia dettagliata di
tutte le violenze sarebbe opera molto
voluminosa; non manca il desiderio di farla, manca il tempo.
Tuttavia, a illuminare quella opinione pubblica che la propaganda iugoslava,
mutilando o correggendo la verità, vuel render sfavorevole all'ltalia, sarà
bene portare a conoscenza di tutti alcuni particolari almeno del martirio
subito dalla Dalmazia per opera dei croati, palesemente
aiutati dal governo di Vienna. Addurremo fatti indiscutibili,
perché reali; e fra i molti sceglieremo quelli che non
permettono nessun dubbio sulla responsabilità dei loro autori diretti o
indiretti.
II.
E' necessario premettere per intender bene il resto, che il
partito croato non sarebbe mai riuscito a dominare la Dalmazia, se il governo
austriaco non lo avesse aiutato con tutti i mezzi che erano a disposizione
d'un impero solidamente costruito e molto esperto nell'arte di fiaccare le
volontà dei popoli a lui sottomessi. Finché il governo austriaco non credette
opportuno di snazionalizzare la Dalmazia, la idea croata era patrimonio di
alcuni solitari privi di credito e di potenza. Il governo austriaco decide nel
1870 di appoggiare il partito croato in Dalmazia che dichiarava con smaccata
ostentazione la sua devozione e fedeltà alla casa d'Absburgo, e garante di
questo appoggio fu l'allora luogotenente della Dalmazia, il barone Rodic,
croato.
L'Austria era divisa in provincie molto estese che ufficialmente
si chiamavano i «Regni e Paesi rappresentati al Consiglio
dell'Impero». -
Teoricamente l'impero austriaco era uno
stato a base federativa, o quasi, praticamente, Vienna dominava tutto e tutti.
Ma ogni «Regno e Paese» aveva una Dieta provinciale, un consesso legislativo,
un piccolo Parlamento — residuo a testimonianza della base federativa
dell'Impero — e le leggi votate dalle Diete acquistavano dopo, la sanzione
sovrana, valore effettivo di leggi entro i confini delle rispettive
provincie, come le leggi votate dal Parlamento e dalla Camera dei Signori
(Senato) per tutto l'impero. La Dieta aveva un organo esecutivo: la Giunta
provinciale un piccolo ministero del Paese, che amministrava la provincia e
controllava i municipi. Il dominio di una provincia austriaca era dunque nelle
mani del partito che disponeva della maggioranza dietale, la quale eleggeva la
Giunta che soprastava ai Municipi.
Importava, adunque, al governo austriaco che la maggioranza
dietale in Dalmazia fosse composta di deputati di parte croata. E siccome lo
scopo non si poteva raggiungere lasciando libertà di voto agli elettori,
l'elezioni si fecero con un sistema che acquistò rapidamente assai triste fama
e si chiamò per antonomasia «sistema dalmato». La
grande e decisiva battaglia che doveva togliere la maggioranza dietale al
partito autonomo (italiano) per
darla ai croati, venne combattuta a Sign. La battaglia fu
lunga, durò settimane, come una delle grandi battaglie
della guerra mondiale. Durò tanto, perche, malgrado i soprusi, i voti degli
autonomi superavano sempre i voti dei croati. La commissione elettorale
perpetrava cinicamente tutte le illegalità possibili, ma gli elettori autonomi
erano sempre troppi. Come fare? Vi provvide il luogotenente croato. Egli
sospese telegraficamente dal suo ufficio il capitano distrettuale
Elluscheè che nella sua onestà impediva almeno le più sfacciate truffe
della commissione elettorale, e lo sostituì con un altro
funzionario, il quale aveva promesso di rinunciare a
tutti i suoi cinque; sensi, e di rimanere impassibile testimonio delle
ciurmerie che dovevano assicurare la vittoria croata. E tenne parola. I
funzionari subalterni del capitanato di Sign — il commissario Addobbati e
l'aggiunto Borich — incaricati del mantenimento dell'ordine durante l'atto elettorale,
i quali avevano visto perpetrare sotto i loro occhi le truffe di voti da parte
della commissione elettorale e le avevano denunciate al commissario del
governo, furono ipso facto puniti per questa denuncia col trasloco, ordinato
dal barone Fluck, un vecchio reazionario che allora dirigeva interinalmente la
Luogotenenza dalmata.
Nell'ottavo giorno delle elezioni la lista
elettorale venne completamente falsata. Centinaia di voti favorevoli ai
candidati del partito autonomo vennero cassati e anche iscritti a favore dei
candidati croati. Poi, di notte, sotto la presidenza del commissario
governativo, si fecero i conti in casa Tripolo, e i conti non tornavano. Al
A Zara non sapevano spiegarsi
la durata dell'atto elettorale; la Dieta non poteva funzionare; importava
di eleggere
Il commissario parve impazzire: al capitano
Korner — che con due compagnie di
cacciatori tirolesi era giunto poche ore prima a Sign a rinforzo. della
gendarmeria impotente a frenare lo
sdegno degli autonomi — Ordinò di caricare alla baionetta
gli elettori autonomi che in numero di circa 200 dovevano deporre il voto. La
carica venne eseguita
III.
La maggioranza dietale, cosi eletta, esponente d'una minoranza
impostasi con gli espedienti surriferiti, elesse a sua volta una giunta
provinciale croata. Questa giunta, d'accordo col governo
di Vienna; procedette
con sollecitudine alla demolizione
dei municipi autonomi. Il successo elettorale
era dappertutto più che dubbio per i croati, malgrado
l'appoggio dei gendarmi; conscia di ciò, la Giunta pensò anzitutto di
migliorare le probabilità elettorali croate, modificando il territorio
di vari comuni, specialmente dei più importanti dove la conquista
appariva più difficile come a Sebenico, Spalato,
Traù ecc. Si operarono pertanto aggregazioni e, disgregazioni,
a danno degli elettori autonomi. Ma
dimostratosi vano anche questo
sapiente lavoro di preparazione, si ricorse
in fine al sistema che a Sign aveva fatto buona prova.
I più fondati reclami degli autonomi
contro le liste elettorali sfacciatamente partigiane
venivano respinti; si rifiutava l'uso del
diritto di voto a centinaia e
centinaia di elettori autonomi, dopo constatata la
loro identità personale; si accettavano a favore dei candidati croati
voti di morti e di assenti, malgrado le attestazioni
ufficiose di morte o di assenza; e, se questo non bastava, si usava il
terrore come per esempio a Spalato. Successe a
Spalato, durante l'atto elettorale che
doveva dare il municipio in mano ai croati, il caso
unico forse negli annali: del figlio che, nella sua
qualità di membro della commissione elettorale
croata, rifiutò di riconoscere suo
padre di parte autonoma, cioè
italiana. Non vada perduto il nome di costui:
Colombatovich.
Degno di ricordo un altro atto elettorale
quello che privò gli italiani della Dalmazia di ogni rappresentanza al Parlamento di Vienna. Fino al 1884 i
deputati al Consiglio dell'impero venivano eletti dalle Diete. Il regolamento
elettorale del 1885 prescrisse l'elezione diretta. Le elezioni col nuovo
regolamento .vennero indette per il giugno del 1885. Ministro presidente era
allora in Austria il conte Taoffe, un miope e inetto uomo di stato che si assicurava
la maggioranza alla Camera con corruzione diretta o indiretta. I croati della
Dalmazia promisero a quest'uomo lo appoggio incondizionato dei loro uomini,
dato s'intende, che questi venissero eletti deputati. Il patto che prometteva
quest'appoggio in cambio dell'aiuto governativo durante l'elezioni, venne
conchiuso, con la garanzia del luogotenente Javanovic e non
fu nemmeno patto segreto.
E cominciò il lavoro, col solito sistema. Nella compilazione delle
liste elettorali fu legge l'arbitrio. Frazioni comunali furono staccate dai
loro comumi ed aggregate ad altri, dove il partito dei croati era in pericolo.
Emissari croati corsero in lungo e in largo la provincia a render noto il
programma— o meglio la consegna — del governo dì Vienna: «neppure un deputato
italiano deve riuscire eletto». La consegna era data dal governatore Jovanovic
in nome del governo. Essendo il governo di Vienna d'accordo coi croati, ogni
reclamo contro le liste elettorali diretto dagli elettori autonomi al
ministero, venne mandato alla Luogotenenza perché lo sbrigasse
a suo modo. A favore dei candidati croati scesero in lizza il clero,
le autorità comunali, politiche, finanziarie e giudiziarie, tutto il poderoso
macchinario dello Stato. Ma per assicurare la vittoria furono inoltre
necessari la frode, il denaro e
Racconta un contemporaneo di quelle gesta:
«A Zara era capo della commissione
elettorale, pel collegio dei maggiori censiti il sacerdote Danilo, le cui
risorse nel creare pretesti per respingere gli elettori italiani dureranno a
lungo nella memoria degli zaratini. Egli fu lo strumento del governo
provinciale, dal quale fu poi largamente ricompensato. Mentre egli nella sala
elettorale commetteva tutte le possibili e, per dire così, anche impossibili
trufferie; la città di Zara era posta in stato d'assedio, sapendo bene, il
luogotenente che l'eccesso delle illegalità avrebbe potuto provocare una
violenta reazione da parte dei cittadini privati del loro diritto. Le vie
principali della città e la piazza del
Duomo furono sgombrate dalla gendarmeria a baionetta innestata,
fu requisito il militare, fu perfino proibito a signore e fanciulli di
affacciarsi alle finestre, fu intercettato l'accesso alle abitazioni e
l'approvvigionamento alle famiglie.
Le persone non potevano andare a casa propria, molti genitori
reclamavano i figli, questi reclamavano i genitori, non sapendo come rincasare
prima della notte che presentavasi minacciosa, malgrado gli estesi
provvedimenti presi dalla polizia, perché durante durante la notte doveva
seguire in tutta la provincia lo spoglio dei voti deposti pel deputato dei
maggiori censìti e già si prevedeva, che nello spoglio si sarebbero perpetrate
le più sfacciate trufferie. .
«Neppur uno!» ripetevano il luogotenente Jovanovic e il
consigliere aulico Pavic, creatura dei croati. E questo «neppur uno» echeggiava
in tutta la provincia a terrorizzare i commissari governativi che per
corrispondere alla categorica ingiunzione ed evitare ogni responsabilità, si
fecero comunicare telegraficamente dai colleghi i risultati dei rispettivi
atti elettorali, e così seppero regolarsi nell'annultare i voti favorevoli al
candidato autonomo e nell'aggiungere voti a favore del candidato croato.
Lo scambio dei telegrammi continuò per tutta la notte, e per sua
virtù risultò eletto il candidato croato con una maggioranza di «quattro
voti». In tal modo gli italiani della Dalmazia cessarono d'avere una
rappresentanza al Parlamento di Vienna,
Riassumendo: la snazionalizzazione della Dalmazia venne eseguita
per volontà del governo austriaco con la seguente ricetta: scioglimento dei
municipi provocato artificialmente con disordini promossi da agenti della
croateria: o con denuncie calunniose di vario genere, tanto per concedere
alla misura del governo una parvenza di legalità; nomina di un commissario
governativo croato o croatizzante; modificazione, diremo così, geometrica dei
comuni a beneficio del partito croato; manipolazione partigiana delle liste
elettorali; imposizione di voto ai pubblici funzionari; tolleranza della frode
e dell'arbitrio durante l'atto elettorale; misure di polizia restringenti la
libertà personale degli elettori; uso della violenza brutale. Nella storia
delle elezioni dalmate non mancano gli episodi tragici. E non mancano gli
episodi comici. Uno di questi, gustosissimo, si può narrare perchè breve: in
un corpo elettorale di Macarsca di 260 elettori iscritti votarono compatti 290.
E' il «record» della.. unanimità.
Disoneste e riprovevoli sono le frodi
elettoràli sempre e dovunque, sebbene siano frequenti. Ma è difficili
qualificare coi meritati aggettivi queste, così sistematiche, nelle quali non
si trattava di trombare un uomo o di recare un danno insignificante
a un partito ma di diseredare un popolò appartenente alla Nazione che fu
maestra di civiltà al mondo, di porlo sotto la tutela di un partito che aveva
per programma la distruzione della sua coltura e della sua
civiltà, retaggio millenario del Paese alla provata inettitudine amministrativa
e alla immaturità politica di tale partito.
IV.
Dopo il trionfo politico e amministrativo il partito croato ne
trasse subito le pratiche conseguenze, snazionalizzando tutte le scuole
popolari e medie, che da italiane divennero croate.
L'incroatamento delle scuole prometteva la durata del trionfo: le
scuole avrebbero in due dozzine d'anni mutata in croata l'anima
dalmata, istintivamente avversa alla Croazia, perchè la psiche del fanciullo si
modella facilmente come
E gli italiani che, pagando le imposte, contribuivano alla spesa
per le scuole degli snazionalizzatori, si assoggettarono volontariamente a
una tassa per pagarsi le proprie scuole. E nulla accese la collera dei croati
quanto le scuole italiane destinate ai fanciulli italiani, contro le quali la
croateria elevò sempre ostacoli ed escogitò sempre nuove
vessazioni.
Durante la sessione dietale del 1909, lo on. Ziliotto l'attuale
sindaco" di Zara redenta fece la seguente proposta: «La Dieta da
incarico alla Giunta provinciale di rivolgersi all'autorità scolastica
provinciale perché assuma: i rilievi occorrenti per fissare i
luoghi della provincia in cui sussistono le premesse legali per la istituzione
di scuole popolari con lingua d'istruzione italiana, e di provvedere perché
nel prossimo preventivo scolastico, da sottoporsi all'approvazione della
Dieta, sia compresa la somma necssaria per l'istituzione ed il mantenimento
delle relative scuole». La Dieta respinse
I fondi comunali servirono a scopo di corruzione, specialmente
elettorale. La Dieta giustificava e approvava tutto. I pubblici
funzionari che non si prestavano alla persecuzione si mantenevano imparziali:
non facevano carriera. La pubblica amministrazione era terrorizzata; la polizia
dei vari municipi era un congegno di partito. A Spalato un poliziotto del Comune
ha ucciso con un colpo di rivoltella un pescatore chioggiotto,; e l'omicida fu
salvato dallo psichiatra; a Sebenico, un poliziotto di quel Comune ha tagliata,
netta, la testa a un cittadino; a' Traù un poliziotto, certo Macovan ha
freddato con due sciabolate un povero operaio, di partito avverso a quello del
Comune, che si trovava in istato di completa ubbriachezza. II partito
croato scusava la persecuzione col dire che gli italiani rifiutavano di
riconoscere il carattere nazionale croato della Dalmazia. Per non essere
trattati come cani idrofobi, per aver diritto di cittadinanza nella loro
patria, gli italiani avrebbero dovuto rinunciare al diritto italiano sulla
Dalmazia. L'on. Macchiedo, deputato croato, della Dieta dalmata, (non badate al
nome) ha pronunciato nella seduta dietale del ottobre 1909 le seguenti parole:
«Soltanto nel caso che gli italiani si pongano dal. punto di vista culturale,
abbandonando quello nazionale, è possibile
Ma non era questa un'idea personale dell'on. Macchiedo, era
l'idea fissa di tutti i croati dalmati. Il loro diritto nazionale sulla
Dalmazia non aveva solidità, non poteva sostenere un esame critico aggettivo,
epperò torturavano un popolo per carpirgli in una crisi di dolore la rinuncia
al diritto proprio e l’ accettazione dello straniero.
E giacché siamo nel 1909 ecco la cronistoria delle violenze di
quell'anno di grazia. Sta bene scegliere quest'anno recente perché allora il
dominio croato in Dalmazia era assodato da qualche decina di anni. Allora in
Dieta si poteva proclamare: «la maggioranza (croata) è padrona di spender il
denaro della provincia come le pare e piace»; il che vuol dire che i croati si
potevano permettere anche lo sperpero del denaro pubblico, tanto era la loro
potenza.
Cominciamo da Zara. Nell'autunno del 1908, i soldati croati qui di
guarnigione commettono degli eccessi, ferendo alcuni
cittadini i quali poi furono anche condannati dall'autorità di polizia. Non
maravigliatevi: cose che una mente europea non sa concepire, erano qui normali.
Nel giorno 8 marzo 1909 alcuni studenti croati sputano sul
tricolore italiano deposto sopra una corona mortuaria. Arriva a Zara ai 31
luglio 1909 la banda croata di Sebenico e, malgrado il divieto dell'autorità
suona marce provocatrici; i cittadini reagiscono e molti di essi finiscono in
carcere. Ai 12 agosto dello stesso anno, passano per Zara parecchi preti e
frati di ritorno , da un congresso eucaristico di Ragusa, provocano con canti e
schiamazzi la cittadinanza che reagisce e i gendarmi proteggono gli
insultatori e certo Angelinovic tira un colpo di pistola.
Ai 15 di agosto otto marinai croati aggrediscono un italiano. Ai
30 settembre il congresso degli studenti italiani viene violentemente sciolto,
e nel pomeriggio alcuni soldati scagliano delle grosse pietre contro gli
studenti che s'erano recati a Borgo Erizzo a tre chilometri dalla città: la
gendarmeria arresta chi osa protestare Ai 12 di ottobre la maggioranza croata
approva il progetto della polizia di Stato a Zara, ferendo a morte le libertà
municipali. Al 17 ottobre un soldato di Sebenico, croato, certo Baranovic,
dopo una «discussione politica, uccìde con una baionettata nella schiena il
popolano non ancora ventenne Riccardo Zanella. Il fatto destò enorme
impressione in città; la vittima fu generalmente compianta, E gli animi fremevano.
L'epigrafe dedicata alla vittima,
dice in poche parole tutto, sintetizza le condizioni
degli italiani della Dalmazia, il loco animo, e il loro martirio:
Lagrime e fiori — Donate concittadini — A —
Nei giorni 6 aprile, 15
aprile, 30 ottobre 1909 le scuole della «Lega
Nazionale» a Spalato; sono fatte bersaglio a frombolieri croati che
ne infrangono i vetri. Verso la tene di aprile gli studenti croati delle
scuole medie di Spalato fanno una clamorosa
dimostrazione contro gli italiani, alla presenza dei professori. :
Merighi, cittadino italiano un uomo già vecchio se ne sta tranquillo ai 9 di
giugno 1909 mentre arriva a Spalato il borgomastro di Vienna , dott. Lueger, e
viene arrestato dalle guardie della polizia municipale ; e poiché non può
camminare presto essendo ammalato alle gambe, vien mandato avanti a spinte
e insultato. In carcere lo maltrattano e infine lo bandiscono dall’Austria.
Il «Veloce Club zaratino» progetta, di fare una gita
a Spalato; si dirama a Spalato un feroce
proclama contro gli italiani stampato alla macchia, e la gita viene vietata
dall’autorità nel giorno 27 giugno. I membri del «Sokol» (ginnasti
croati) devastano, devastano un giorno un piroscafo della «Dalmatia» ; ai 15
di agosto tentano un assalto al gabinetto di lettura
(italiano) e feriscono parecchi cittadini . Alla presenza delle guardie
comunali alcuni croati ai 5 di settembre percuotono un italiano e ne
feriscono un altro di coltello. Ai 10 settembre insultano il giovane
Grossmann, ai 20 di ottobre Giulio Conu ed Ester Montegigli,
artiste drammatiche della compagnia di Gemma
Caimmi.. Sulla tomba di Antonio Bajamonti viene deposta
una.corona di metallo con la. scritta «al martire santo; la gioventù
italiana» e ai 2 novembre la si trova deturpata; la teppa croata di
Spalato danneggia un caffè e percuote sotto gli occhi delle
guardie, alcuni italiani ai 14 novembre; ai 23 novembre 1909 è
toccata a un regnicolo un'avventura che merita di esser narrata
con qualche dettaglio. Un monello qualunque rubava delle mele
dalla barca «Sofia» di proprietà del sig. Angelo Ricapito
da Giovinazzo. Da un'altra barca il
monello fu visto rubare e venne
dato l'allarme. Domenico Ricapito, figlio
del padrone, saltò fuori, ritolse al monello le mele rubate e gli diede uno
schiaffo. Questi si allontanò e raccontò alla guardia
comunale N. .27 di essere stato schiaffeggiato da un pugliese. Il N. 27
corse alla barca e intimò al Ricapito di
scendere a terra. Questi non obbedì. La
guardia tentò di entrare nella barca,
ma il Ricapito non glielo
permise. Passava per di là per caso il vice console d'Italia, avv.
Ugo Tedeschi, e vedendo della gente, agglomerata
presso le barche italiane,
s'avvicinò per sapere che cosa fosse successo. Il Ricapito incominciò a
raccontargli da bordo l'accaduto; ma il viceconsole, per udire meglio, gli
disse di scendere a terra. Appena il
Ricapito aveva posto il piede alla riva, la guardia gli fu addosso
con tanta violenza che
egli sarebbe caduto in mare, se non si fosse aggrappato
alla divisa della guardia. Allora .il signor Tedeschi
si legittimò quale viceconsole, garantendo
per il Ricapito. Ma che garanzie, ma che vice console! La guardia diede due
spinte al console, sguainò la sciabola e arrestò il Ricapito. In aiuto della
prima accorse un'altra guardia e il Ricapito venne condotto alle carceri
comunali. Lo perquisirono e poi lo introdussero in una stanzaccia, e quivi nove
guardie lo tempestarono di pugni, calci e colpi di «boxe», e mentre il
disgraziato invocava pietà per i suoi figli, le guardie inferocivano di più
gridandogli: crepa!
Due medici, croati, chiamati più tardi
come periti, constatarono sul Ricapito 48 lesioni di varia natura e gravita. Il
podestà per intervento del console, ordinava il rilascio del Ricapito mentre
appunto le guardie lo maltrattavano, altrimenti l'avrebbero accoppato.. In un
giornale dell'epoca si trova la seguente dichiarazione:
« Io sottosegnato confermo pienamente la
verità d'esser stato percosso la sera di martedì 23 corr. nelle carceri
comunali di Spalato, da ben nove guardie di polizia comunali. Confermo in
quanto chè sono stato visitato dai signori medici Karaman e Orambasìn, medici
periti dell'i.r. Tribunale. Detti periti trovarono moltissime contusioni
inferte con pugni, «box» e calci sul mio corpo. In fede di che, Domenico
Ricapito di Angelo, m. p. da Giovinazzo prov, di Bari (Italia). Spalato, 25
novembre 1909 ».
Passiamo a Cittavecchia, patria del deputato
Bianchini e d'un podestà Rossini, ambidue croati (la nazionalità non è questione
di lingua, ma di volontà). A Cittavecchia i croati erano particolarmente
pugnaci. Ai 6 gennaio del 1909 questi sedicenti
croati, che l'apostasia ha imbarbariti,
assaliscono la sede della società italiana «Unione» scagliando pietre, pezzi
di ferro, bottiglie, mentre le guardie comunali arrestano quegli italiani che
osano protestare. Era la seconda edizione dell'assalto, perché la prima era
uscita alla luce del giorno di San Silvestro del 1908.
Per questi fatti, 32
«sokolisti» vengono condannati dalla autorità politica: si trattava di
un «pogrom» non riuscito a perfezione! Le violenze continuano
anche dopo, ma meno gravi; finché agli 11 giugno Bortolo Boglich
viene aggredito e ferito all'orecchio, Non guarito ancora
bene di quella ferita, ai 27 di luglio, venne percosso un'altra volta da un
influente membro del «Sokol». Le guardie
comunali sono presenti e guardano, ma non vedono, così che in
quella stessa sera due signorine vengono sconciamente
insultate e il giovane Serafino Pavich viene percosso e ferito.
Il giorno dopo, 28 luglio 51 giovane Tanascovich riceve alcune sassate; ai 6 di
settembre altre pietre vengono scagliate da
ignoti contro il giovane G. G. Botteri.
Gli insulti e le provocazioni si ripetono
regolarmente ogni sera e si fanno più clamorosi ai 25 novembre, mentre la
musica croata percorre le vie della cittadetta, per festeggiare S. Cecilia,
seguita da un codazzo di croati che insultano gli italiani e fischiano passando
sotto le loro abitazioni.
A Metcovich, il 29- settembre 1909, alcuni
marinai italiani di ritorno dal caffè vengono aggrediti da dieci croati e
colpiti con pugni e bastonate: 5 feriti, fra i quali Ernesto Cunegotto,
gravemente, con frattura del crano. A Salona, il 18 luglio 1909, alcuni operai
croati minacciano sei operai del Regno che si danno alla fuga. Ritiratisi gli
operai nella fabbrica, i croati l'assaltano lanciando sassi. Interviene la
gendarmeria che opera 44 arresti. A Curzola, il 6 settembre 1909, venti
studenti croati percuotono due artigiani italiani. A Sign, il 24 luglio 1909 le
tabelle dei negozi italiani sono insudiciate dagli studenti croati venuti da Spalato
in vacanza. A Bibigne, il 30 giugno 1909, i villici, radunati ed eccitati da
un sacerdote croato, scagliano pietre contro 28 cittadini di Zara, andati là
con un piccolo piroscafo in gita di piacere. A Sebenico,
Teppa? Si, ma non sempre. E quando c'è la
teppa, agisce sempre secondo le intenzioni, il metodo, la tradizione del partito
croato; e funziona esclusivamente contro gli italiani. Del resto, non è
difficile provare la connivenza del partito croato anche nelle violenze più
gravi, negli assassini politici; e chi è connivente è responsabile. Eccola
prova della connivenza del partito croato in un assassinio che meriterebbe
proprio d'essere chiamato all'inglese «atrocità».
Il fatto avvenne ai 5 gennaio
Alla mattina del 5 gennaio 1912 il podestà,
accompagnato dal segretario e dal servo del Municipio, attese il riorganizzatore
per aggredirlo e colpirlo
Dato alla mattina dal podestà l'esempio
della violenza, alla sera si ebbe un assassinio. S'usa
a Milnà, alla vig-iìia della Epifania, di visitare le
famiglie amiche. Alle 21,10 un gruppo di «sokolisti» si raccolse nella sede di
un sodalizio croato a bere del vino. Ne uscirono verso le 22 e si recarono a
casa di certo Zurich dove ripresero a bere: ragazzi, in gran parte dai 14 ai 16
anni. Poi verso le 22,30 usciti da quella casa marciarono compatti dalla
parte della piazza verso l'unico caffè del paese, capitanati dalla guardia di
polizia, cantando canzoni offensive per gli italiani.
Giunti nelle vicinanze del caffè, incontrarono
una comitiva d'italiani che tornavano da una visita a una famiglia italiana.
I «sokolisti» li provocarono con parole e spinte; gli italiani reagirono e si
accese una zuffa, nella quale i «sokolisti» ebbero la peggio.
Le busse erano sode; ma tutto doveva
finire con un paio di. lividure. La tragedia accadde invece proprio allora,
inattesa e ingiustificata. Girolamo Trebotich, la vittima, un robusto giovane
ventenne, si era allontanato dalla comitiva durante la rissa; quando, a circa
venti metri dal caffè venne assalito da più persone e sgozzato in un attimo.
Quanti fossero i croati assalitori, la gente intorno non seppe dire con
precisione: ma sul cadavere i medici constatarono le seguenti lesioni: una
ferita alla testa causata probabilmente da un bastone, una ferita di coltello
sopra l'orecchio un'altra ferita di coltello che, avendo recisa la carotide, aveva
prodotto la morte quasi istantanea della vittima.
Il giudice istruttore ordinò l'arresto di
quattro individui, uno dei quali, confessando di aver dato all'ucciso una
coltellata, esclamò: «Ho salvato la patria!».
La stampa croata non rilevò, il fatto
atroce. Ma la convivenza croata risultò palese quando i giurati di Spalato
assolsero l'omicida certo Babarovic e il pubblico accolse il verdetto con
grida di «zivio» (evviva).
V.
Resta dunque stabilito che la croateria ha
introdotta in Dalmazia forme balcaniche di vita sociale. Questo breve sunto
storico del martirio subito dalla Dalmazia nel lungo periodo della sua violenta
snazionalizzazione non pretende di dare un quadro vivo del dolore sofferto; ma
servirà forse a far comprendere qual valore effettivo abbiano le statistiche,
sulle quali fanno tanto assegnamento i jugoslavi e i loro disinteressati amici.
Anche se fossero oggettivamente esatte, quelle statistiche non sarebbero
vere, perché i risultati che le stabiliscono, sono la messe della violenza. Ma
se noi asseriamo che le cifre delle statistiche sono alterate dalla frode in
misura molto ampia, saremo forse creduti perché per un partito politico che ha
tanta dimestichezza con le forme gravi della delinquenza, come il partito
croato della Dalmazia, una falsificazione anagrafica è un'operazione
innocente.
I municipi croati della Dalmazia sono
certo capaci di delinquenza nella specie perché anche la frode elettorale entra
nell’ambito delle loro funzioni ufficiali. Frequenti furono nell'aula dietale
le accuse, precise, di sperpero di danaro comunale a scopi elettorali. La
luogotenenza austriaca della Dalmazia ha sciolto spesso comuni croati causa
irregolarità elettorali. Per esempio nel 1912. quelli Arbe, Marcarsca e
Dernis: Se volessimo avventurarci nella storia della disamrninistrazione
croata in Dalmazia, avremmo: molto lavoro da fare. Chi sa che l’antipatia di
certi podestà croati contro l'occupazione italiana non sia in gran parte dovuta
al timore di una seria revisione dei bilanci comunali!
Tutto il móndo sa ora che nella parte di
Dalmazia abbandonata agli jugoslavi, la persecuzione contro gli italiani continua
implacata e costante. La cronaca quotidiana di Spalato, Traù, Ragusa ecc. è
piena di provocazioni, d'insulti, dì aggressioni, di saccheggi, a danno degli
italiani. Il martirio della italianità colà non è finito. Anzi aumenta,
perché la teppa croata è sicura dell'impunità ed è sciolta da ogni freno. Il
governo austriaco, sebbene conmplice della croateria, tollerava la brutalità e
la barbarie soltanto in casi eccezionali, e le tollerava finché durava !'eccezionalità
del caso. Invece le guarnigioni serbe della Dalmazia jugoslava non solo
tollerano le «atrocità», ma vi cooperano.
Quale sarà la sorte degli italiani abbandonati
alla Jugoslavia? E' presto : detto: la distruzione !
RAIMONDO
DERANEZ - Zara, 13 febbraio 1919.