Ancona

Stab.Tipografico dell’ ORDINE

1919

 

 

 

I.

 

All'attiva propaganda antitaliana che gli jugoslavi e i loro numerosi amici fan­no specialmente all'estero al palese scopo d'influire sull'opinione pubblica di tutto il mondo così da renderla sfavorevole o ad­dirittura contraria a una soluzione della questione adriatica conforme al diritto e alle legittime aspirazioni dell'Italia, giova opporre tutti gli argomenti, i dati di fatto, le risultanze storielle e le considerazioni morali che dimostrano e provano l'infon­datezza, la parzialità, gli errori, le lacune della  propaganda  jugoslava.

Compito di non difficile esecuzione que­sto, ma molto ampio, intorno al  quale la stampa patriottica d'Italia s'affatica da qualche tempo con successo visibile ad ogni onesto, senza tuttavia, esaurirlo com­pletamente. Il diritto storico dell'Italia sulla Dalmazia è stato vittoriosamente af­fermato di fronte alle contestazioni  jugoslave; l'appartenenza geografica della Dalmazia all'Italia è fuori di discussione per chiunque non voglia far della scienza il docile strumento d'una specifica tesi politica; la prevalenza in Dalmazià della coltura e civiltà italiana è resa manifesta da­gli usi e costumi della sua popolazione più evoluta, dall'architettura dei   suoi  monu­menti,  dalla  struttura  delle  sue città,  dal suo  contributo  alla   letteratura  e  all'arte italiana;  la necessità strategica del domi­nio italiano sulla Dalmazia è evidente anche ai profani dell'arte militare e trova con­ferme  anche  tragiche,  nella  storia.

Contro questi elementi della controver­sia i propagandisti iugoslavi non oppon­gono serie obbiezioni. Negano per esem­pio valore alla necessità strategica dicen­do che la grande Italia non corre nessun pericolo di fronte alla piccola Jugoslavia; ma questo è un apprezzamento soggettivo e unilaterale che non tocca le sostanze del fatto, dicono che la civiltà e la coltura italiana della Dalmazià son dovute al lun­go dominio Veneto,  straniero epperò non nazionale, trascurando la verità storica, la quale stabilisce che gli slavi invasori non soggiogarono mai le città della costa che rimasero latine ed ebbero dopo la caduta di Roma le libertà municipali come le altre città   d'Italia   e  conservarono   anche  con Venezia la fisionomia italica che dura tut­tora, continuità questa che determina la vera anima nazionale della Dalmazia; ne­gano anche l’appartenenza geografica del­la Dalmazià all'Italia ma sono smentiti dai caratteri naturali che separano nettamente come l'hanno  sempre  separata   la Dalmazia dalla Balcania. Così ai propagan­disti jugoslavi resta un unico argomento serio, il quale, secondo essi, prevale su tut­ti gli altri presi assieme, ed è quello del carattere etnico della popolazione, stabili­to dalle statistiche demografiche trionfal­mente.

Ma la nazionalità d'un popolo come quel­la dell'individuo, non è determinata dalla lingua ch’ei parla, bensì dalla sua volon­tà. Se valesse l'opposto, i più intelligenti uomini di parte croata (jugoslava) in Dalmazia.. sarebbero italiani, e italiani sareb­bero stati quegli uomini che primi inizia­rono il movimento politico-nazionale croa­to in Dalmazia.   

Vi sono in Dalmazia famiglie, i cui mem­bri appartengono a varie nazionalità; pur avendo una comune lingua materna, perchè figli della stessa madre, vi sono in Dal­mazià fratelli, dei quali uno si dice croato, l'altro italiano, il terzo serbo. Dunque l'e­lemento volitivo individuate è il determi­nante anche nei riguardi  nazionali.

In Dalmazia, però, si conta più del 60 per cento d'analfabeti, i quali non hanno una volontà nazionale; e vi è un numero assai grande di abitanti bilingui, i quali appariscono nelle statistiche slavi, sia per­ché gli organi del censimento l'hanno elen­cati arbitrariamente fra gli slavi, sia per­ché essi hanno subito una coercizione li­mitante la loro libera volontà. Affinchè questa coercizione esista, non occorre di­mostrare che è intervenuto un atto di vio­lenza per ogni singolo individuo in questo determinato caso; basta, invece, dimostra­re l'esistenza d'un regime che limiti o annulli con la violenza o con la corruzione, la volontà popolare. Qual valore va at­tribuito alle statistiche d'una minoranza che si è imposta al paese con la violenza e con  la violenza si mantiene al potere?   

Se   una   minoranza   decreta   illegalmente la soppressione di tutte le scuole italiane d'un paese e apre al loro posto scuole esclu­sivamente slave, e d'altra parte stabilisce l'obbligo della frequentazione, essa crea in alcuni anni una verità nazionale; ma que­sta  verità  è  artificiale,  è  in  sostanza  una falsificazione,  cioè un atto  di delinquenza politica.  Statistiche  di  questo genere, an­che se  oggettivamente  esatte, mal  servo­no come fondamento al diritto e al domi­nio.

L'apparente snazionalizzazione della Dalmazia  è  stata  conseguenza  di una lunga serie di violenze che con frase sintetica si chiamano «il martirio della Dalmazia». La storia dettagliata di tutte le violenze sareb­be   opera   molto  voluminosa;   non  manca il desiderio di farla, manca il tempo. Tut­tavia, a illuminare quella opinione pubbli­ca che la propaganda iugoslava, mutilan­do o correggendo la verità, vuel render sfa­vorevole all'ltalia, sarà bene portare a co­noscenza di tutti alcuni particolari almeno del martirio subito dalla Dalmazia per opera  dei  croati,  palesemente  aiutati  dal governo  di Vienna. Addurremo fatti indi­scutibili, perché reali; e fra i molti sceglie­remo  quelli  che  non  permettono  nessun dubbio sulla responsabilità dei loro autori diretti o indiretti.

 

II.

 

E' necessario premettere per intender be­ne il resto, che il partito croato non sa­rebbe mai riuscito a dominare la Dalma­zia, se il governo austriaco non lo avesse aiutato con tutti i mezzi che erano a di­sposizione d'un impero solidamente co­struito e molto esperto nell'arte di fiaccare le volontà dei popoli a lui sottomessi. Fin­ché il governo austriaco non credette op­portuno di snazionalizzare la Dalmazia, la idea croata era patrimonio di alcuni solitari privi di credito e di potenza. Il governo austriaco decide nel 1870 di appoggiare il partito croato in Dalmazia che dichiarava con smaccata ostentazione la sua devozione e fedeltà alla casa d'Absburgo, e garante di questo appoggio fu l'allora luogotenen­te della Dalmazia, il barone Rodic, croato.

L'Austria era divisa in provincie molto estese che ufficialmente si chiamavano i «Regni e Paesi rappresentati al Consiglio dell'Impero».    -

Teoricamente l'impero austriaco era uno stato a base federativa, o quasi, praticamen­te, Vienna dominava tutto e tutti. Ma ogni «Regno e Paese» aveva una Dieta pro­vinciale, un consesso legislativo, un piccolo Parlamento — residuo a testimonianza del­la base federativa dell'Impero — e le leggi votate dalle Diete acquistavano dopo, la sanzione sovrana, valore effettivo di leggi entro i confini  delle rispettive provincie, come le leggi votate dal Parlamento e dalla Camera dei Signori (Senato) per tutto l'impero. La Dieta aveva un organo esecutivo: la Giunta provinciale un piccolo ministero del Paese, che amministrava la provincia e controllava i municipi. Il domi­nio di una provincia austriaca era dunque nelle mani del partito che disponeva della maggioranza dietale, la quale eleggeva la Giunta che soprastava ai Municipi.

Importava, adunque, al governo austriaco che  la maggioranza dietale in Dalmazia fosse composta di deputati di parte croa­ta. E siccome lo scopo non si poteva raggiungere lasciando libertà di voto agli elet­tori, l'elezioni si fecero con un sistema che acquistò rapidamente assai triste fama e si  chiamò  per  antonomasia   «sistema dalmato». La grande e decisiva battaglia che doveva togliere la maggioranza dietale al partito  autonomo   (italiano)   per   darla  ai croati, venne combattuta a Sign. La battaglia fu  lunga,  durò  settimane,  come  una delle grandi battaglie della guerra mondia­le. Durò tanto, perche, malgrado i sopru­si, i voti degli autonomi superavano sempre i voti dei croati. La commissione elettorale perpetrava cinicamente tutte le ille­galità possibili, ma gli elettori autonomi era­no sempre troppi. Come fare? Vi provvide il luogotenente  croato. Egli sospese tele­graficamente dal suo ufficio il capitano di­strettuale  Elluscheè che nella  sua onestà impediva almeno le più sfacciate truffe della commissione elettorale, e lo sostituì  con un  altro  funzionario,  il  quale  aveva  promesso di rinunciare a tutti i suoi cinque; sensi, e di rimanere impassibile testimonio  delle ciurmerie che dovevano assicurare la vittoria croata. E tenne parola. I funzionari subalterni del capitanato di Sign — il com­missario Addobbati e l'aggiunto Borich — incaricati del mantenimento dell'ordine du­rante l'atto elettorale, i quali avevano vi­sto perpetrare sotto i loro occhi le truffe di voti da parte della commissione eletto­rale e le avevano denunciate al commis­sario del governo, furono ipso facto puniti per questa denuncia col trasloco, ordinato dal barone Fluck, un vecchio reazionario che allora dirigeva interinalmente la Luo­gotenenza dalmata.

Nell'ottavo giorno delle elezioni la lista elettorale venne completamente falsata.  Centinaia di voti favorevoli ai candidati del partito autonomo vennero cassati e anche iscritti a favore dei candidati croati. Poi, di notte, sotto la presidenza del com­missario governativo, si fecero i conti in casa Tripolo, e i conti non tornavano. Al­la «Bazzana», sede elettorale, c'erano an­cora centinaia di elettori del partito au­tonomo, mentre i croati avevano esaurite tutte le riserve. Allora venne mobilitato il clero, preti e frati, che corsero per le cam­pagne a richiamare gli elettori che ave­vano già votato, a votare una seconda volta, per gli elettori morti. Gli autonomi protestarono invano, presentarono invano fedi di morte autentiche, delle quali s'e­rano provveduti in previsione del trucco: i morti votarono a favore dei croati. Malgrado questo i conti non tornavano la vittoria era degli autonomi.

A  Zara  non  sapevano  spiegarsi  la  durata dell'atto elettorale; la Dieta non poteva funzionare; importava di eleggere la nuova  Giunta  Provinciale che doveva essere  croata.   Allora  si   ricorse   ai   mezzi estremi. Un telegramma del luogotenente ordinò al commissario governativo di chiu­dere l'atto elettorale chiamandolo responsabilè   dell'eventuale  insuccesso.

Il commissario parve impazzire: al capi­tano   Korner  —   che   con  due  compagnie di cacciatori tirolesi era giunto poche ore prima a  Sign a rinforzo. della gendarme­ria   impotente  a  frenare   lo  sdegno   degli autonomi —  Ordinò  di caricare alla baio­netta gli elettori autonomi che in numero di circa 200 dovevano deporre il voto. La carica   venne  eseguita la   «Bazzana»   fu sgomberata,   l'atto   elettorale   chiuso;   alla -borgata venne inflitto qualche cosa di si­mile  allo  Stato  d'assedio.   E  allora,  rima­neggiate  le   risultanze   elettorali,  i  candi­dati   furono  proclamati   eletti.   Il   dominio croato  nella  Dalmazia  ripete  le sue  ori­gini da questa violenza.

 

III.

 

 

La maggioranza dietale, cosi eletta, esponente d'una minoranza impostasi con gli espedienti surriferiti, elesse a sua volta una giunta provinciale croata. Questa giunta,  d'accordo col  governo  di  Vienna; procedette   con   sollecitudine   alla   demoli­zione  dei  municipi  autonomi.   Il  successo elettorale era  dappertutto più che  dubbio  per i croati, malgrado l'appoggio dei gen­darmi; conscia di ciò, la Giunta pensò an­zitutto di migliorare le probabilità eletto­rali  croate, modificando il territorio di va­ri comuni, specialmente dei più importan­ti  dove la conquista appariva più  difficile come  a  Sebenico,  Spalato, Traù   ecc.   Si operarono pertanto aggregazioni e, disgre­gazioni,  a  danno  degli  elettori  autonomi. Ma   dimostratosi   vano   anche   questo   sa­piente  lavoro  di  preparazione,  si  ricorse in  fine al sistema che a Sign  aveva fatto buona  prova.  I  più  fondati  reclami  degli autonomi   contro  le  liste   elettorali sfac­ciatamente partigiane venivano respinti; si rifiutava  l'uso   del   diritto   di  voto   a   cen­tinaia e centinaia di elettori autonomi, do­po  constatata  la  loro  identità  personale; si accettavano a favore dei candidati croa­ti voti  di morti  e di assenti,  malgrado le attestazioni ufficiose di morte o di assenza;  e, se questo non bastava, si usava il terrore come per esempio a Spalato. Suc­cesse  a  Spalato,   durante  l'atto  elettorale che  doveva  dare il  municipio in  mano  ai croati, il caso unico forse negli annali: del figlio  che,  nella  sua  qualità  di  membro della  commissione  elettorale  croata,  rifiu­tò   di  riconoscere  suo  padre  di parte au­tonoma,   cioè   italiana.   Non  vada  perduto il nome di costui:  Colombatovich.

Degno di ricordo un altro atto elettorale quello  che  privò  gli  italiani  della  Dalmazia di ogni rappresentanza al Parlamento di Vienna. Fino al 1884 i deputati al Con­siglio dell'impero venivano eletti dalle Diete. Il regolamento elettorale del 1885 prescrisse l'elezione diretta. Le elezioni col nuovo regolamento .vennero indette per il giugno del 1885. Ministro presiden­te era allora in Austria il conte Taoffe, un miope e inetto uomo di stato che si assi­curava la maggioranza alla Camera con corruzione diretta o indiretta. I croati della Dalmazia promisero a quest'uomo lo appoggio incondizionato dei loro uomi­ni, dato s'intende, che questi venissero eletti deputati. Il patto che prometteva quest'appoggio in cambio dell'aiuto gover­nativo durante l'elezioni, venne conchiuso, con la garanzia del luogotenente Javanovic  e  non fu  nemmeno  patto segreto.

E cominciò il lavoro, col solito sistema. Nella compilazione delle liste elettorali fu legge l'arbitrio. Frazioni comunali furono staccate dai loro comumi ed aggre­gate ad altri, dove il partito dei croati era in pericolo. Emissari croati corsero in lungo e in largo la provincia a render noto il programma— o meglio la conse­gna — del governo dì Vienna: «neppure un deputato italiano deve riuscire eletto». La consegna era data dal governatore Jovanovic in nome del governo. Essendo il governo di Vienna d'accordo coi croati, ogni reclamo contro le liste elettorali di­retto dagli elettori autonomi al ministero, venne mandato alla Luogotenenza perché lo   sbrigasse   a   suo  modo.  A favore dei candidati croati scesero in lizza il clero, le autorità comunali, politiche, finanziarie e giudiziarie, tutto il poderoso macchina­rio dello Stato. Ma per assicurare la vit­toria furono inoltre necessari la frode, il denaro e la violenza. La gendarmeria era autorizzata a far uso delle armi, nel caso che gli autonomi osassero opporsi alla violenza croata. Le commissioni elet­torali, sortite in ogni collegio per opera dei commissari governativi con maggioranza croata e presiedute da uomini ca­paci delle più turpi illegalità, fecero un vero macello di elettori autonomi italiani non ammettendo al voto le più cospicue e conosciute - personalità col pretesto che non si poteva provare la loro.... identità personale.

Racconta un contemporaneo di quelle gesta:

«A Zara era capo della commissione elettorale, pel collegio dei maggiori censiti il sacerdote Danilo, le cui risorse nel crea­re pretesti per respingere gli elettori ita­liani dureranno a lungo nella memoria degli zaratini. Egli fu lo strumento del governo provinciale, dal quale fu poi lar­gamente ricompensato. Mentre egli nella sala elettorale commetteva tutte le possi­bili e, per dire così, anche impossibili trufferie; la città di Zara era posta in stato d'assedio, sapendo bene, il luogotenente che l'eccesso delle illegalità avrebbe po­tuto provocare una violenta reazione da parte dei cittadini privati del loro diritto. Le vie principali della città e la piazza del

Duomo furono sgombrate dalla gendar­meria a baionetta innestata, fu requisito il militare, fu perfino proibito a signore e fanciulli di affacciarsi alle finestre, fu in­tercettato l'accesso alle abitazioni e l'approvvigionamento alle  famiglie.

Le persone non potevano andare a ca­sa propria, molti genitori reclamavano i figli, questi reclamavano i genitori, non sapendo come rincasare prima della not­te che presentavasi minacciosa, malgrado gli estesi provvedimenti presi dalla poli­zia, perché durante durante la notte do­veva seguire in tutta la provincia lo spo­glio dei voti deposti pel deputato dei maggiori censìti e già si prevedeva, che nello spoglio si sarebbero perpetrate le più sfacciate trufferie.       .

«Neppur uno!» ripetevano il luogote­nente Jovanovic e il consigliere aulico Pavic, creatura dei croati. E questo «neppur uno» echeggiava in tutta la provincia a terrorizzare i commissari governativi che per corrispondere alla categorica ingiun­zione ed evitare ogni responsabilità, si fe­cero comunicare telegraficamente dai col­leghi i risultati dei rispettivi atti eletto­rali, e così seppero regolarsi nell'annultare i voti favorevoli al candidato autonomo e nell'aggiungere voti a favore del candi­dato croato.

Lo scambio dei telegrammi continuò per tutta la notte, e per sua virtù risultò eletto il candidato croato con una mag­gioranza di «quattro voti». In tal modo gli italiani della Dalmazia cessarono d'avere una rappresentanza al Parlamento di Vien­na,                       

Riassumendo: la snazionalizzazione della Dalmazia venne eseguita per volontà del governo austriaco con la seguente ricet­ta: scioglimento dei municipi provocato artificialmente con disordini promossi da agenti della croateria: o con denuncie ca­lunniose di vario genere, tanto per con­cedere alla misura del governo una par­venza di legalità; nomina di un commis­sario governativo croato o croatizzante; modificazione, diremo così, geometrica dei comuni a beneficio del partito croato; manipolazione partigiana delle liste elet­torali; imposizione di voto ai pubblici funzionari; tolleranza della frode e dell'arbi­trio durante l'atto elettorale; misure di polizia restringenti la libertà personale degli elettori; uso della violenza brutale. Nella storia delle elezioni dalmate non mancano gli episodi tragici. E non manca­no gli episodi comici. Uno di questi, gu­stosissimo, si può narrare perchè breve: in un corpo elettorale di Macarsca di 260 elettori iscritti votarono compatti 290. E' il  «record»  della.. unanimità.

Disoneste e riprovevoli sono le frodi elettoràli sempre e dovunque, sebbene sia­no frequenti. Ma è difficili qualificare coi meritati aggettivi queste, così sistemati­che, nelle quali non si trattava di tromba­re un uomo o di recare un danno insigni­ficante a un partito ma di diseredare un popolò appartenente alla Nazione che fu maestra di civiltà al mondo, di porlo sotto la tutela di un partito che aveva per pro­gramma la distruzione della sua coltura e della sua civiltà, retaggio millenario del Paese alla provata inettitudine ammini­strativa e alla immaturità politica di tale partito.

 

IV.

 

Dopo il trionfo politico e amministrati­vo il partito croato ne trasse subito le pratiche conseguenze, snazionalizzando tutte le scuole popolari e medie, che da italiane divennero croate.

L'incroatamento delle scuole promette­va la durata del trionfo: le scuole avreb­bero in due dozzine d'anni mutata  in croa­ta l'anima dalmata, istintivamente avversa alla Croazia, perchè la psiche del fanciullo si modella facilmente come la cera. I fan­ciulli italiani furono in tal modo posti fuori della legge; o subire la snazionaliz­zazione o pagarsi  l'istruzione nazionale.

E gli italiani che, pagando le imposte, contribuivano alla spesa per le scuole de­gli snazionalizzatori, si assoggettarono vo­lontariamente a una tassa per pagarsi le proprie scuole. E nulla accese la collera dei croati quanto le scuole italiane desti­nate ai fanciulli italiani, contro le quali la croateria elevò sempre ostacoli ed escogi­tò sempre  nuove  vessazioni.

Durante la sessione dietale del 1909, lo on. Ziliotto l'attuale sindaco" di Zara re­denta fece la seguente proposta: «La Die­ta da incarico alla Giunta provinciale di rivolgersi all'autorità scolastica provincia­le perché assuma: i rilievi occorrenti  per fissare i luoghi della provincia in cui sus­sistono le premesse legali per la istituzio­ne di scuole popolari con lingua d'istru­zione italiana, e di provvedere perché nel prossimo preventivo scolastico, da sotto­porsi all'approvazione della Dieta, sia compresa la somma necssaria per l'isti­tuzione ed il mantenimento delle relative scuole». La Dieta respinse la proposta. Il dominio croato sulla Dalmazia non era nel 1900 minacciato da nessuna parte; dal periodo tumultuante della lotta nazionale era passato un quarto di secolo: eppure la Dieta croata della Dalmazia rifiutò di riconoscere il più elementare diritto del­l'indigena minoranza italiana della Dal­mazia. conobbe la brutalità del vincitore di seconda mano, e fu brutalità feroce, quasi d'invasore prussiano. Come il delinquente sente il bisogno istintivo di cancellare non solo ogni traccia del delitto commesso, ma anche ogni cosa che gli ricordi il delitto, cosi il partito croato parve, per un ana­logo movimento psicologico, non trovar requie finché non avesse cancellato dalla Dalmazia ogni traccia di italianità, al pro­babile fine d'evitare ogni occasione di ri­morso e di crearsi, diremo cosi, un alibi oggettivo, perché dove manchi la vittima, manca il delitto e non è da temere l'espia­zione. La croateria d'allora organizzò la «caccia» all'italiano. La plebe avvinaz­zata ebbe l'incarico di esercitare per le vie la violenza spicciola contro gli italiani. Garanzia d'impunità e di mercede. Molti italiani della Dalmazia presero la via dell'esilio. I ragazzi italiani nelle scuole era­no vessati, giudicati ribelli ricevevano cattive classificazioni, così che molti di essi si videro costretti ad abbandonare la scuola. Gli studenti che si dicevano croati, venivano favoriti in tutto, specialmente nel conferimento degli stipendi. Nell'ope­ra di snazionalizzazione si distinse il prete croato. Chi si diceva italiano o di coltura italiana, veniva dal prete maledetto e ad­ditato alle masse incolte, facilmente fanatizzabili, come nemico di Dio, della reli­gione, dello Stato.

I fondi comunali servirono a scopo di corruzione, specialmente elettorale. La Dieta giustificava e approvava tutto.  I pubblici funzionari che non si prestavano alla persecuzione si mantenevano impar­ziali: non facevano carriera. La pubblica amministrazione era terrorizzata; la poli­zia dei vari municipi era un congegno di partito. A Spalato un poliziotto del Co­mune ha ucciso con un colpo di rivoltella un pescatore chioggiotto,; e l'omicida fu salvato dallo psichiatra; a Sebenico, un poliziotto di quel Comune ha tagliata, netta, la testa a un cittadino; a' Traù un poliziotto, certo Macovan ha freddato con due sciabolate un povero operaio, di par­tito avverso a quello del Comune, che si trovava in istato di completa ubbriachezza. II partito croato scusava la persecuzione col dire che gli italiani rifiutavano  di riconoscere il carattere nazionale croato della Dalmazia. Per non essere trattati come  cani  idrofobi, per aver diritto di cittadinanza nella loro patria, gli italiani avrebbero dovuto rinunciare al diritto italiano sulla Dalmazia. L'on. Macchiedo, deputato croato, della Dieta dalmata, (non badate al nome) ha pronunciato nella se­duta dietale del ottobre 1909 le seguenti parole: «Soltanto nel caso che gli italia­ni si pongano dal. punto di vista cultura­le, abbandonando quello nazionale, è pos­sibile la pacificazione. Riconoscano essi il carattere croato di questa terra e c'in­tenderemo facilmente.»

Ma non era questa un'idea  personale dell'on. Macchiedo, era l'idea fissa di tutti i croati dalmati. Il loro diritto nazionale sulla Dalmazia non aveva solidità, non po­teva sostenere un esame critico aggettivo, epperò torturavano un popolo per car­pirgli in una crisi di dolore la rinuncia al diritto proprio e l’ accettazione dello straniero.     

E giacché siamo nel 1909 ecco la croni­storia delle violenze di quell'anno di gra­zia. Sta bene scegliere quest'anno recente perché allora il dominio croato in Dal­mazia era assodato da qualche decina di anni. Allora in Dieta si poteva proclama­re: «la maggioranza (croata) è padrona di spender il denaro della provincia co­me le pare e piace»; il che vuol dire che i croati si potevano permettere anche lo sperpero del denaro pubblico, tanto era la loro potenza.

Cominciamo da Zara. Nell'autunno del 1908, i soldati croati qui di guarnigione commettono  degli  eccessi,  ferendo alcuni cittadini i quali poi furono anche condan­nati dall'autorità di polizia. Non maravigliatevi: cose che una mente europea non sa concepire, erano qui normali. Nel gior­no 8 marzo 1909 alcuni studenti croati sputano sul tricolore italiano deposto so­pra una corona mortuaria. Arriva a Zara ai 31 luglio 1909 la banda croata di Sebenico e, malgrado il divieto dell'autorità suona marce provocatrici; i cittadini rea­giscono e molti di essi finiscono in carcere. Ai 12 agosto dello stesso anno, passano per Zara parecchi preti e frati di ritorno , da un congresso eucaristico di Ragusa, provocano con canti e schiamazzi la cit­tadinanza che reagisce e i gendarmi pro­teggono gli insultatori e certo Angelinovic tira un colpo di pistola.

Ai 15 di agosto otto marinai croati ag­grediscono un italiano. Ai 30 settembre il congresso degli studenti italiani viene violentemente sciolto, e nel pomeriggio al­cuni soldati scagliano delle grosse pietre contro gli studenti che s'erano recati a Borgo Erizzo a tre chilometri dalla città: la gendarmeria arresta chi osa protestare Ai 12 di ottobre la maggioranza croata approva il progetto della polizia di Stato a Zara, ferendo a morte le libertà muni­cipali. Al 17 ottobre un soldato di Sebenico, croato, certo Baranovic, dopo una «discussione politica, uccìde con una baio­nettata nella schiena il popolano non an­cora ventenne Riccardo Zanella. Il fatto destò enorme impressione in città; la vitti­ma fu generalmente compianta, E gli animi fremevano.   L'epigrafe   dedicata   alla  vitti­ma,  dice  in  poche parole  tutto,  sintetizza le condizioni degli italiani della Dalmazia, il loco animo, e il loro martirio:

 

Lagrime  e  fiori —  Donate  concittadini    A — Riccardo Zanella — Che nel ri­goglio degli anni —Da ferro omicida — Barbaramente  —  Ebbe  spezzate le  calde speranze  i vagheggiati ideali —  E dolo­rando — Nell'estrema amarezza dell'anima disconsolata — Non ancora ventenne — Fu tolto da violenza efferata — Alla pa­tria ai parenti agli amici — Uscito di po­polo,  dal forte intemerato  popolo nostro   agli affetti gentili — La carità del natio loco — Generoso congiunse — Sicché alle   corruttrici  lusinghe   agli   adescamen­ti follaci — Oppose costante là virtù dei ricordi — E fra gli stenti delle sudate fa­tiche — Con sacrificio di se — Non maledì  all'avito  linguaggio  —  Disdegnando   in mezzo a tanta accolta servile — I facili applausi i disonesti guadagni — Con­cessi al tradimento — Oggi — XX Otto­bre  MCMIX — Nello strazio comune — Fra  le zolle fiorite dei dalmatici autunni    Scende  prematuro   sotterra  — Perdo­nando — A coloro che non sanno ciò che si fanno — agli iddii tutelari — Pace chie­dendo — Per i traviati fratelli — E desi­derando ai futuri — Che il sangue suo senza colpa versato — Sia seme fecondo — Di giustizia é di rimorso — Fonte peren­ne — Dì fede e di amore.

 

Nei giorni 6 aprile,  15 aprile,  30    otto­bre 1909 le scuole della «Lega Nazionale» a Spalato; sono  fatte bersaglio a  frombolieri croati che ne infrangono i vetri. Ver­so la tene di aprile gli studenti croati delle scuole   medie di Spalato fanno  una cla­morosa  dimostrazione contro gli  italiani, alla presenza dei professori. : Merighi, cittadino italiano un uomo già vecchio se ne sta tranquillo ai 9 di giugno 1909 mentre arriva a Spalato il borgomastro di Vienna , dott. Lueger, e viene arrestato dalle guardie della polizia municipale ; e poiché non può camminare presto essendo ammalato alle gambe, vien mandato avanti a spinte e insultato. In carcere lo maltrattano e infine lo bandiscono dall’Austria. Il   «Veloce Club zaratino»   progetta, di fare una gita a  Spalato;  si  dirama a Spalato  un  feroce  proclama contro gli italiani stam­pato alla macchia, e la gita viene vietata dall’autorità nel giorno 27 giugno. I membri del «Sokol»  (ginnasti croati) devasta­no, devastano un giorno un piroscafo della «Dalmatia» ; ai 15 di agosto  tentano un assalto al gabinetto  di lettura  (italiano) e feriscono parecchi cittadini . Alla  presenza delle guardie comunali alcuni croati ai 5 di  settembre percuotono un italiano e ne feriscono un altro di coltello. Ai 10 set­tembre insultano il  giovane Grossmann, ai  20 di ottobre Giulio Conu ed Ester Montegigli,  artiste  drammatiche della  compa­gnia  di  Gemma Caimmi..  Sulla  tomba  di Antonio Bajamonti viene deposta una.corona di metallo con la. scritta «al martire  santo; la gioventù italiana» e ai 2 novembre la si trova deturpata; la teppa croata di Spalato danneggia un caffè e percuote sotto gli occhi  delle  guardie,  alcuni  ita­liani ai 14 novembre; ai 23 novembre 1909 è toccata a un regnicolo un'avventura che merita  di  esser narrata con  qualche  det­taglio. Un monello qualunque rubava delle mele dalla barca  «Sofia»  di proprietà del sig.  Angelo  Ricapito  da   Giovinazzo.   Da un'altra  barca  il  monello  fu  visto  rubare e   venne   dato   l'allarme.   Domenico   Rica­pito, figlio del padrone, saltò fuori, ritolse al monello le mele rubate e gli diede uno schiaffo. Questi  si allontanò  e  raccontò alla guardia comunale N. .27 di essere sta­to schiaffeggiato da un pugliese.  Il N. 27 corse  alla  barca  e  intimò  al  Ricapito di scendere  a  terra.  Questi  non  obbedì.  La guardia  tentò  di  entrare   nella  barca,  ma il   Ricapito   non   glielo   permise.   Passava per di là per caso il vice console d'Italia, avv. Ugo Tedeschi, e vedendo della gente, agglomerata    presso    le   barche    italiane, s'avvicinò per sapere che cosa fosse suc­cesso.  Il Ricapito incominciò a raccontar­gli da bordo l'accaduto; ma il viceconsole, per udire meglio, gli disse  di  scendere a terra.   Appena  il  Ricapito  aveva  posto il piede alla riva, la guardia gli fu addosso con   tanta  violenza   che   egli   sarebbe   ca­duto in mare, se non si fosse aggrappato alla divisa della guardia. Allora .il  signor Tedeschi   si   legittimò   quale   viceconsole, garantendo per il Ricapito. Ma che garanzie, ma che vice console! La guardia diede due spinte al console, sguainò la sciabola e arrestò il Ricapito. In aiuto della prima accorse un'altra guardia e il Ricapito ven­ne condotto alle carceri comunali. Lo per­quisirono e poi lo introdussero in una stanzaccia, e quivi nove guardie lo tempe­starono di pugni, calci e colpi di «boxe», e mentre il disgraziato invocava pietà per i suoi figli, le guardie inferocivano di più gridandogli: crepa!

Due medici, croati, chiamati più tardi come periti, constatarono sul Ricapito 48 lesioni di varia natura e gravita. Il po­destà per intervento del console, ordinava il rilascio del Ricapito mentre appunto le guardie lo maltrattavano, altrimenti l'a­vrebbero accoppato.. In un giornale dell'e­poca si trova  la seguente dichiarazione:

« Io sottosegnato confermo pienamente la verità d'esser stato percosso la sera di martedì 23 corr. nelle carceri comunali di Spalato, da ben nove guardie di polizia co­munali. Confermo in quanto chè sono stato visitato dai signori medici Karaman e Orambasìn, medici periti dell'i.r. Tribu­nale. Detti periti trovarono moltissime contusioni inferte con pugni, «box» e cal­ci sul mio corpo. In fede di che, Domenico Ricapito di Angelo, m. p. da Giovinazzo prov, di Bari (Italia). Spalato, 25 novem­bre 1909 ».      

                              

Passiamo a Cittavecchia, patria del de­putato Bianchini e d'un podestà Rossini, ambidue croati (la nazionalità non è que­stione di lingua, ma di volontà). A Cittavecchia i croati erano particolarmente pu­gnaci. Ai 6 gennaio del 1909 questi sedi­centi   croati,   che   l'apostasia  ha  imbarbariti, assaliscono la sede della società ita­liana «Unione» scagliando pietre, pezzi di ferro, bottiglie, mentre le guardie comu­nali arrestano quegli italiani che osano protestare. Era la seconda edizione del­l'assalto, perché la prima era uscita alla luce del giorno di San Silvestro del 1908.

Per questi fatti, 32  «sokolisti»  vengono condannati dalla autorità politica: si trat­tava di un  «pogrom»  non riuscito a per­fezione! Le violenze continuano anche do­po, ma meno gravi; finché agli 11 giugno Bortolo  Boglich  viene  aggredito  e  ferito all'orecchio, Non guarito ancora bene di quella ferita, ai 27 di luglio, venne percos­so un'altra volta da un influente membro del  «Sokol».  Le   guardie   comunali   sono presenti e guardano, ma non vedono, così che in quella stessa sera due signorine vengono  sconciamente  insultate  e il  giovane Serafino Pavich viene percosso e fe­rito.  Il giorno dopo, 28 luglio 51 giovane Tanascovich riceve alcune sassate; ai 6 di settembre  altre   pietre  vengono  scagliate da ignoti contro il giovane G. G. Botteri.

Gli insulti e le provocazioni si ripetono regolarmente ogni sera e si fanno più clamorosi ai 25 novem­bre, mentre la musica croata percor­re le vie della cittadetta, per festeggia­re S. Cecilia, seguita da un codazzo di croati che insultano gli italiani e fischiano passando sotto le loro abitazioni.

A Metcovich, il 29- settembre 1909, alcuni marinai italiani di ritorno dal caffè ven­gono aggrediti da dieci croati e colpiti con pugni e bastonate: 5 feriti, fra i quali Ernesto Cunegotto, gravemente, con frat­tura del crano. A Salona, il 18 luglio 1909, alcuni operai croati minacciano sei ope­rai del Regno che si danno alla fuga. Ri­tiratisi gli operai nella fabbrica, i croati l'assaltano lanciando sassi. Interviene la gendarmeria che opera 44 arresti. A Curzola, il 6 settembre 1909, venti studenti croati percuotono due artigiani italiani. A Sign, il 24 luglio 1909 le tabelle dei negozi italiani sono insudiciate dagli stu­denti croati venuti da Spalato in vacanza. A Bibigne, il 30 giugno 1909, i villici, radu­nati ed eccitati da un sacerdote croato, scagliano pietre contro 28 cittadini di Zara, andati là con un piccolo piroscafo in gita di piacere. A Sebenico, il .28 agosto 1909, Pietro Addobbati e Giovanni Graovaz-Brunelli vengono aggrediti e percossi da suonatori in divisa della banda muni­cipale. A Traù il podestà Madirazza (bel nome croato!) tiene un discorso eccitan­do la gente alla caccia contro l'italiano do­po di che si fa una dimostrazione antitaliana col grido (notatelo!) di «abbasso la cavra di Dante!» e gettano sassi contro il gabinetto di lettura (31 dicembre 1908). Ai 10 gennaio I909 due operai aggrediscono e feriscono alla testa un marinaio di una barca anconitana; agli 8 febbraio le ta­belle italiane dei negozi e del gabinetto di lettura vengono insudiciate con materie fecali e alla Società italiana si rompono con sassate i vetri delle finestre. I soci della società croata  «Berislavic»  fanno ai 22 febbraio una dimostrazione antitaliana, e il giudice poi li assolve perché — dice nella sentenza — « tali scenate sono d'uso paesano ». Ma se per giudizio di un giudi­ce nell'esercìzio delle sue funzioni, in no­me dell'imperatore d'Austria, tali scenate vengono dichiarate impunibili perché d'uso paesano, non c'è sugo a continuare. Ed è stato così — anzi assai peggio di così — per  cinquant'anni  in  Dalmazia!.

Teppa? Si, ma non sempre. E quando c'è la teppa, agisce sempre secondo le in­tenzioni, il metodo, la tradizione del par­tito croato; e funziona esclusivamente contro gli italiani. Del resto, non è difficile provare la connivenza del partito croato anche nelle violenze più gravi, negli assas­sini politici; e chi è connivente è respon­sabile. Eccola prova della connivenza del partito croato in un assassinio che meriterebbe proprio d'essere chiamato all'in­glese «atrocità».

Il fatto avvenne ai 5 gennaio 1912 a Milnà isola della Brazza. A Milnà gli italiani si riorganizzavano intorno ad un uomo illibato, di provata fede italiana. Il podestà croato della borgata volle opporsi a questa resurrezione di italianità e scelse — naturalmente — la violenza.

Alla mattina del 5 gennaio 1912 il pode­stà, accompagnato dal segretario e dal servo del Municipio, attese il riorganiz­zatore  per   aggredirlo  e  colpirlo

Dato alla mattina dal podestà l'esem­pio della violenza, alla sera si ebbe un as­sassinio.   S'usa  a  Milnà,  alla  vig-iìia  della Epifania, di visitare le famiglie amiche. Alle 21,10 un gruppo di «sokolisti» si raccolse nella sede di un sodalizio croato a bere del vino. Ne uscirono verso le 22 e si recarono a casa di certo Zurich dove ripresero a bere: ragazzi, in gran parte dai 14 ai 16 anni. Poi verso le 22,30 usciti da quella casa marciarono compatti  dalla parte della piazza verso l'unico caffè del paese, capitanati dalla guardia di po­lizia, cantando canzoni offensive per gli italiani.

Giunti nelle vicinanze del caffè, incon­trarono una comitiva d'italiani che tor­navano da una visita a una famiglia ita­liana. I «sokolisti» li provocarono con parole e spinte; gli italiani reagirono e si accese una zuffa, nella quale i «sokoli­sti» ebbero la peggio.

Le busse erano sode; ma tutto doveva finire con un paio di. lividure. La trage­dia accadde invece proprio allora, inattesa e ingiustificata. Girolamo Trebotich, la vittima, un robusto giovane ventenne, si era allontanato dalla comitiva durante la rissa; quando, a circa venti metri dal caf­fè venne assalito da più persone e sgozza­to in un attimo. Quanti fossero i croati assalitori, la gente intorno non seppe di­re con precisione: ma sul cadavere i me­dici constatarono le seguenti lesioni: una ferita alla testa causata probabilmente da un bastone, una ferita di coltello sopra l'o­recchio un'altra ferita di coltello che, avendo recisa la carotide, aveva prodotto la morte quasi istantanea  della vittima.

Il giudice istruttore ordinò l'arresto di quattro individui, uno dei quali, confessan­do di aver dato all'ucciso una coltellata, esclamò:   «Ho salvato la   patria!».

La stampa croata non rilevò, il fatto atroce. Ma la convivenza croata risultò pa­lese quando i giurati di Spalato assolsero l'omicida certo Babarovic e il pubblico ac­colse il verdetto con grida di «zivio» (ev­viva).

 

 

V.

 

 

Resta dunque stabilito che la croateria ha introdotta in Dalmazia forme balcaniche di vita sociale. Questo breve sunto storico del martirio subito dalla Dalmazia nel lungo periodo della sua violenta sna­zionalizzazione non pretende di dare un quadro vivo del dolore sofferto; ma servi­rà forse a far comprendere qual valore effettivo abbiano le statistiche, sulle quali fanno tanto assegnamento i jugoslavi e i loro disinteressati amici. Anche se fosse­ro oggettivamente esatte, quelle statisti­che non sarebbero vere, perché i risultati che le stabiliscono, sono la messe della violenza. Ma se noi asseriamo che le cifre delle statistiche sono alterate dalla frode in misura molto ampia, saremo forse cre­duti perché per un partito politico che ha tanta dimestichezza con le forme gravi del­la delinquenza, come il partito croato del­la Dalmazia, una falsificazione anagrafica è  un'operazione innocente.

I municipi croati della Dalmazia sono certo capaci di delinquenza nella specie perché anche la frode elettorale entra nell’ambito delle loro funzioni ufficiali. Frequenti furono nell'aula dietale le accuse, precise, di sperpero di danaro comunale a scopi elettorali. La luogotenenza au­striaca della Dalmazia ha sciolto spesso comuni croati causa irregolarità elettora­li. Per esempio nel 1912. quelli Arbe, Marcarsca e Dernis: Se volessimo avven­turarci nella storia della disamrninistrazione croata in Dalmazia, avremmo: molto lavoro da fare. Chi sa che l’antipatia di certi podestà croati contro l'occupazione italiana non sia in gran parte dovuta al timore di una seria revisione dei bilanci comunali!                           

Tutto il móndo sa ora che nella parte di Dalmazia abbandonata agli jugoslavi, la persecuzione contro gli italiani conti­nua implacata e costante. La cronaca quo­tidiana di Spalato, Traù, Ragusa ecc. è piena di provocazioni, d'insulti, dì aggres­sioni, di saccheggi, a danno degli italiani. Il  martirio della italianità colà non è fi­nito. Anzi aumenta, perché la teppa croa­ta è sicura dell'impunità ed è sciolta da ogni freno. Il governo austriaco, sebbene conmplice della croateria, tollerava la bru­talità e la barbarie soltanto in casi eccezionali, e le tollerava finché durava !'ec­cezionalità del caso. Invece le guarnigioni serbe della Dalmazia jugoslava non solo tollerano le  «atrocità»,  ma vi  cooperano.

Quale sarà la sorte degli italiani abban­donati alla Jugoslavia? E' presto : detto: la  distruzione !                                     

 

RAIMONDO DERANEZ      -     Zara,  13  febbraio  1919.